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Recensione di Claudio Secci per “Storie dell’altra favola” di Iana Pannizzo

Affrontando questo libro mi è venuto in mente ciò che sta accadendo con Castellofobia, a Castelfiorentino, il libro di fiabe che terminano in chiave horror. Mi ha ricordato anche la serie tv “Scary Tales”, dove i racconti celebri che hanno accompagnato la nostra infanzia vengono stravolti con sfumature sempre diverse. Con “Storie dell’altra favola”, Iana Pannizzo esordisce come autrice, dopo essersi cimentata per anni con il blog “Un libro per amico recensioni”, tutt’ora attivo. In realtà, come dicevo sopra, questo prodotto dà l’aria a un meccanismo già visto ma in realtà se ne discosta: la creazione delle ambientazioni di Iana Pannizzo sfoggia maturità e capacità di coinvolgimento che porterà il lettore dentro un percorso interiore attraverso un nuovo punto di vista. Ricorrente e incessante è il rapporto dei personaggi con il concetto di morte. Il racconto simbolo del libro è secondo me “Il flauto di Caronte”, in cui l’autrice prende per mano i personaggi e li avvicina alla morte sfruttando canali significativi sempre diversi. La morte come entità, amica e nemica, la morte come arbitro, la

morte come passaggio. Avviene tutto questo coccolando il lettore e rendendo questo concetto molto meno inquietante, innaturale e lugubre di quanto non lo si faccia in uno schema classico. E’ così che la malattia, il dolore, la sofferenza in questo libro di fiabe rivisitate in chiave gotica diventano componenti digeribili e assimilabili perché conditi da delicatezze e soavità che non si trovano spesso in opere di questo genere. Nel modo in cui Iana ha saputo far pace con il concetto di morte, trasmettendolo al lettore, questo libro si distingue. A mio parere un esordio non semplice, per quanto vincente. L’unica nota dolente è una punteggiatura e un editing da rivedere, ma che viene certamente perdonato dalla prelibatezza delle descrizioni e dalla costruzione meticolosa dei personaggi, sempre ben vividi agli occhi del viaggiatore. Da sottolineare anche le splendide riflessioni in prosa che anticipano ogni racconto: aiutano ad addentrarsi nell’atmosfera.

“Lo specchio aveva risucchiato l’anima della povera fanciulla e presto capì di essere stata imprigionata in un universo parallelo, lasciando il corpo come un involuc

ro vuoto, tra la nebbia dell’oblio e il tormento del ricordo…”

Pertanto questo libro è da me consigliato, anche per un pubblico molto giovane. Avvicinare in questa maniera al concetto che una vita prima o poi si spegne, è per me trasmettitore di ottimi spunti riflessivi per la fascia 10-16 anni. Auguri all’autrice per il suo nuovo percorso, attendiamo nuove pubblicazioni.

Claudio Secci

Recensione di Federico Ingemi sul libro “Tutte feriscono, l’ultima uccide” di Laura Costantini

Finalmente torniamo con una nuova recensione del professionista Federico Ingemi, entrato a far parte da qualche mese fra i professionisti partner del Collettivo. Questo mese ci onora della recensione del libro “Tutte feriscono, l’ultima uccide” di Laura Costantini. Vediamo un po’ cosa ne ha tirato fuori questa volta. Intanto complimenti per l’esaustività e l’attenzione sul testo al nostro recensore.


Laura Costantini, Loredana Falcone

Tutte feriscono, l’ultima uccide

  1. 213, Edizioni Il Vento Antico, 2021 (1° ed.2010).

Può l’ambientazione di un romanzo, spesso relegata solo a sfondo delle vicende narrate, elevarsi al grado di protagonista? Possono i caratteri e gli aspetti di una città concorrere a ricoprire la stessa funzione centrale? Tutte feriscono, l’ultima uccide risponde a questi interrogativi.

Le tranquille giornate di lavoro del luogotenente Quirino Vergassola e del giornalista Nemo Rossini, vengono scosse da una serie di ritrovamenti di cadaveri nel Tevere. Sono tutti barboni ripescati nelle stesse condizioni: drogati d’assenzio, sfamati per l’ultima volta con una ricetta dell’antica Roma a base di farro, marchiati a fuoco con incomprensibili sillabe latine. A complicare la vicenda, si aggiungono strane voci su di una donna, vestita con una tunica bianca, che appare sul luogo del delitto poco prima che le vittime si lancino dai ponti. Il luogotenente non ha dubbi: troppe coincidenze perché si parli di spiacevoli casualità o, come il suo teorema enuncia, “uno è un caso, due una fatalità, quattro fanno una maledizione”. I sospetti dei media ricadono sulla Brigata Coclite, un’associazione di nostalgici promotrice dei valori dell’antica Roma, che esaltano utilizzando iconografie imperiali e latinismi, vestendo con sandali borchiati e pallium, rispolverando vecchi riti pagani in onore della dea Vesta.

A preoccuparsi degli omicidi non è solo la stampa o la polizia. Monica, abbandonata dal padre quando era solo una bambina, sta cercando di rintracciarlo; i pochi indizi che ha la portano a credere che ora abiti le strade della capitale. Questo la spinge a collaborare con una mensa per senzatetto: ogni volta che incrocia lo sguardo di un disperato in coda per un pasto, in lei si accende la fiamma della speranza. A suo modo, come la Brigata Coclite, anche lei è alla ricerca delle sue origini; anche lei “invoca” la divinità protettrice della famiglia affinché suo padre non sia ritrovato nel fiume come gli altri.

Tutte feriscono, l’ultima uccide non è il solito giallo in cui il lettore assiste al duello tra investigatore e assassino, incorniciato dai soliti clichés di falsi sospettati e prove da mettere insieme per inchiodare il colpevole. Dai capitoli che prendono il nome dai ponti sul Tevere, dall’intreccio di punti di vista narrativi mai sovrapposti, che genera una narrazione fluida e coinvolgente, affiorano le vere protagoniste del romanzo: Roma e la romanità. L’Urbe, con la gloria di tempi lontani che i suoi monumenti ancora riflettono, ammalia e spinge, quasi giustifica, la catena di omicidi; è una città complice. Allo stesso tempo è vittima: la sua memoria viene distorta e strumentalizzata; i suoi luoghi simbolo vengono sporcati di sangue. Il lettore non ha solo la possibilità di “visitare” la città, può andare oltre e immergersi nell’atmosfera più genuina di Roma. Può sentire il profumo della pizza al taglio e lo scrocchiare dei supplì in giro per le strade; ridere delle battute, sempre pronte, di personaggi dai soprannomi bizzarri come Romoletto, Tippettoppe e Jagermeister; perdersi nella frenesia della quotidianità capitolina.

Laura Costantini e Loredana Falcone hanno scritto un thriller coinvolgente e carico di Storia, perfettamente equilibrato nelle sue componenti di presente e passato; ma soprattutto hanno scritto un’ode all’Urbe, a “’sta città, che è sempre bella pure se è piena de matti”.

 

A cura di Federico Ingemi

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