Federico Ingemi recensisce “Il profumo dell’uva e la voce delle ocarine” di Elisa Biffi

Dalla vite meno bella può nascere l’uva migliore.
di Federico Ingemi

 

Elisa Biffi Corni
Il profumo dell’uva e la voce delle ocarine
pp. 148, Arpeggio Libero, 2021.

“Volgere storcendo; deviare fortemente dalla direzione normale”; questa la definizione di stravolgere: un avvenimento irrompe con forza nel lento fluire del T

empo, origina un prima e un dopo, alterando irreversibilmente le esistenze. Il profumo dell’uva e la voce delle ocarine indaga gli stati d’animo dell’

individuo in ogni fase dello stravolgimento. Agata è un’affermata scrittrice, conosciuta con lo pseudonimo di Grace Roland. Ormai anziana e malata, abbandona i racconti per bambini, genere per cui è conosciuta, e decide di scrivere le sue memorie. Sente l’esigenza di manifestare la sua vera identità, di distruggere l’impalcatura di menzogne che da tutta la vita la aiuta a sostenere pesanti sofferenze. L’infanzia scorre serena nel paese natale, Budrio: il dolce profumo dell’uva americana coltivata dal nonno, il sapore dei cibi preparati dalla nonna, il clima familiare che si respira nelle botteghe del paese; contribuiscono a creare un ricordo bucolico della campagna bolognese. All’età di quattordici anni però, il dipinto della sua felice esistenza viene macchiato irreparabilmente. Vittima di una violenza sessuale e costretta a tac

ere la gravidanza che ne è conseguita, l’adolescenza di Agata termina bruscamente. Tutto ciò che prima costituiva fonte di serenità e di sicurezza, è risemantizzato: il paese si trasforma in giudice; la famiglia alimenta un ingiustificato senso di colpa; solitudine e sradicamento colmano la sua anima. L’odio verso la creatura che porta in grembo (“Ti sentivo estranea. In te vedevo quello che mi era capitato, nient’altro”) è la causa dell’affidamento della bambina a un’altra famiglia e dell’abbandono della cittadina. Deciderà solo il nome, Micol: è lei che si cela dietro al tu che ricorre nelle memorie. Ogni volta che tenta di chiudere quella parentesi della sua vita, sente un “legame immateriale” che la spinge verso la figlia. Odia solo più stessa per le scelte che ha preso, mossa da un ingiusto, e imposto, senso di vergogna. Avverte il bisogno di rendere tangibile quel legame, e lo fa tramite le storie per bambini (“Cosa unisce madri e figli durante l’infanzia, oltre al contatto della pelle? Il contatto delle parole.”) La scrittura diventa così sia un surrogato di maternità, sia terapia

per Agata: l’immaginazione l

a aiuta a evadere dal labirinto di colpe che vivono nella sua mente e a sentire Micol

vicina. Per tutta la vita cammina accanto a lei; spettatrice inerte dei suoi successi e delle sofferenze. Su tutte, la perdita del marito. Ad ogni tappa significativa del percorso della figlia, tornano gli interrogativi e le ipotesi sul loro non-rapporto: la narrazione assume tratti ucronici, riflesso del
turbamento costante di Agata. È fiera della donna indipendente che è diventata, ma teme anche possa ridursi a non vivere, proprio come lei. Le memorie di Agata diventano così un vademecum contro il dolore, i pregiudizi e l’egoismo; un’esortazione ad essere una persona migliore di quella che è stata lei.

Il profumo dell’uva e la voce delle ocarine trasforma il terribile dramma raccontato in opportunità di miglioramento per il prossimo, accende la speranza nel buio della violenza. Esorta insomma a credere che anche “dalla vite meno bella può nascere l’uva migliore”.